giovedì 4 agosto 2011

Noi credevamo

Regia: Mario Martone
Attori principali: Luigi Lo Cascio, Toni Servillo, Luca Zingaretti, Valerio Binasco, Francesca Inaudi, Andrea Bosca, Edoardo Natoli.
Paese di produzione e anno di uscita in Italia: Italia, Francia - 2010
Titolo originale: Noi credevamo
Durata: 170'

Trama: Tre ragazzi del sud Italia, in seguito alla feroce repressione borbonica dei moti che nel 1828 vedono coinvolte le loro famiglie, maturano la decisione di affiliarsi alla Giovine Italia di Giuseppe Mazzini. Attraverso quattro episodi che corrispondono ad altrettante pagine oscure del processo risorgimentale per l’unità d’Italia, le vite di Domenico, Angelo e Salvatore verranno segnate tragicamente dalla loro missione di cospiratori e rivoluzionari, sospese come saranno tra rigore morale e pulsione omicida, spirito di sacrificio e paura, carcere e clandestinità, slanci ideali e disillusioni politiche. Sullo sfondo, la storia più sconosciuta della nascita del paese, dei conflitti implacabili tra i “padri della patria”, dell’insanabile frattura tra nord e sud, delle radici contorte su cui sì è sviluppata l’Italia in cui viviamo.

Commento: il racconto è notevole perché molto ampio (quasi quattro ore) e, a tratti, epico, e perché lascia spazio a spiragli di storia che non rispondono alla vulgata risorgimentale dei libri di scuola. D'altra parte, però, trasforma i protagonisti del Risorgimento in bombaroli per lo più falliti e, proprio a causa della quantità di materiale trattato, a volte il racconto si sfilaccia in particolari inutili.
Un film non per tutti.
Un bacio appasionato (e fuori luogo) fra l'affascinante Contessa di Belgiojoso e uno dei protagonisti; un rapidissimo nudo parziale femminile di schiena, altrettanto fuori luogo.

Altre recensioni:

- Mereghetti (quello vero)
Perché raccontare il Risorgimento? Per capire meglio l’Italia di oggi, sembra suggerire Mario Martone con il suo Noi credevamo, tanto ambizioso quanto complesso. Nel suo affresco di tre ore e 24 minuti attraversiamo quarant’anni di storia ottocentesca, dai moti meridionali degli anni Venti fino all’Aspromonte con Garibaldi e i repubblicani fermati dalle fucilate sabaude: una materia sterminata che Martone e il suo cosceneggiatore Giancarlo De Cataldo asciugano e sintetizzano con scelte che faranno certamente discutere ma le cui ragioni mi sembra vadano cercate nel legame con il presente di cui si diceva. Dei tre giovani protagonisti iniziali, il figlio del popolo pagherà quasi subito la sua condizione di subalternità, il più invasato finirà preda dei suoi stessi furori ideologici e il più idealista (a cui è affidata la chiusura del film e che Lo Cascio, nell’età matura, rende con sofferta partecipazione) non potrà che constatare il fallimento degli ideali con cui il Risorgimento aveva mobilitato tanti italiani. Dei padri più o meno nobili di quell’epoca, si lascia molto spazio al Mazzini teorico dell’azione violenta («dimenticando» quello delle idee proto-socialiste) e si sottolinea il voltafaccia di Francesco Crispi, prima repubblicano e rivoluzionario poi monarchico e colonialista: Garibaldi si vede lontanissimo, nel buio della notte, le scene con Cavour sono cadute in fase di sceneggiatura, gli altri sono solo fugaci citazioni storiche. Tutta questa materia Martone la organizza evitando le tentazioni epiche e privilegiando azioni e discussioni tutte a loro modo significative, dalle idee risorgimentali (i sogni ugualitari della principessa di Belgiojoso) agli scontri tra monarchici e repubblicani (la prigione borbonica), dalle tentazioni violente (l’attentato a Napoleone III) alla restaurazione sabauda (l’Aspromonte e la lotta al brigantaggio). A volte dando l’impressione di usare il presente per spiegare il passato piuttosto che viceversa. Ed è questo il vero limite del film, in certi momenti quasi soffocato dal bisogno di un didatticismo troppo incombente, che toglie passione e anima ai personaggi (lo si nota soprattutto nelle prima parte). Come se per evitare le tentazioni «viscontiane» Martone avesse spinto il film troppo nell’altra direzione, arrivando a sottolineature un po’ facili (la modernità della scala metallica che porta alla ghigliottina o delle case mai finite nel meridione) e smarrendo a volte lo slancio narrativo. Resta intatta la grande ed encomiabile ambizione di affrontare i tanti nodi di una storia patria che coi tempi che corrono ha sempre più bisogno di essere conosciuta e divulgata. Anche grazie a film così.
"Il Corriere della Sera" dell'8 ottobre 2010

Discussioni:
- la recensione di Glauco Siniscalchi
- l'articolo di Curzio Maltese su «La Repubblica» del 9 novembre 2010 e su «La Repubblica» del 7 ottobre 2010
- l'articolo di Claudia Morgoglione su «La Repubblica» del 7 settembre 2010
- l'articolo di Domenico Delle Foglie su «Avvenire» del 17 novembre 2010
- l'articolo di Luca Mastrantonio su «Il Riformista» del 9 settembre 2010

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