sabato 6 agosto 2011

I demoni di San Pietroburgo


Regia: Giuliano Montaldo
Attori principali: Miki Manojlovic, Carolina Crescentini, Roberto Herlitzka
Paese di produzione e anno di uscita in Italia: Italia - 2008
Titolo originale: I demoni di San Pietroburgo
Durata: 118'

Trama: San Pietroburgo, 1860. Un attentato provoca la morte di un membro della famiglia imperiale. Pochi giorni dopo lo scrittore Fjodor Mikhajlovic Dostojevskij (Miki Manojlovic) incontra Gusiev, un giovane che è ricoverato in un ospedale psichiatrico. Gusiev confessa di aver fatto parte del gruppo terroristico e rivela che i suoi compagni, capeggiati da una tale Alexandra, da lui amata, stanno preparando un piano per eliminare un altro parente dello Zar. Dostojevskij deve trovarla e convincerla a fermare questo nuovo atto terroristico. Lo scrittore è sconvolto. Sta vivendo giorni terribili, pressato dai creditori, dall'imminente scadenza del termine di consegna di un nuovo libro, dai frequenti attacchi di epilessia. Di giorno, con l'aiuto di una giovane stenografa, Anna Grigorjevna (Carolina Crescentini), detta Il giocatore. Di notte continua l'affannosa ricerca del gruppo terroristico fra i sospetti dell'ispettore (Roberto Herlitzka), i ricordi della tormentata vita passata e i rimorsi di coscienza.

Commento: un bel film. La figura di Dostojevskij è indagata nel profondo; diversi flashback ci fanno entrare nella tormentata vicenda personale del protagonista. Alcuni inseguimenti e l'ansia di evitare la strage (e con essa la responsabilità indiretta che i terroristi attribuisco agli scritti 'rivoluzionari' di Dostojevskij) rendono il film avvincente e coinvolgente.
All'ideale rivoluzionario irragionevole e fanatico, lo scrittore contrappone un ideale socialista maturato e sublimato attraverso l'esperienza della sofferenza e della fede. Il film è un riuscito affresco d'epoca che condanna i rischi dell'intolleranza attraverso il vissuto del grande romanziere russo.
Unica pecca: del tutto senza motivo, Dostojevskij, nella ricerca della fantomatica Alexandra, insegue una donna misteriosa, che, per rivelare il suo "mestiere", invece di parlare, mostra tutte le sue grazie allo scrittore che si ritrae inorridito. Meriterebbe il taglio.

Altre recensioni:
- Almudi (assente)
- Mymovies
- Familycinematv
- Mereghetti (quello vero)
Una regia ambiziosa che rifugge dal seguire le semplificazioni delle fiction televisive e che fa riflettereI demoni di San Pietroburgo
Il lungo duello con la Storia di Dostoevskij. Ma l'eleganza di Montaldo frena le emozioni

Mescolando la cronologia con una certa libertà e concentrando nei giorni in cui Dostoevskij scrisse Il giocatore anche una serie di attentati contro i membri della famiglia zarista, il film di Montaldo I demoni di San Pietroburgo rivela da subito le propri ambizioni: usare la Storia, anzi le storie - quella politica e quella letteraria, soprattutto - per riflettere sul ruolo dei «maestri» e sulla influenza che le idee hanno nel formare la gioventù. Il «maestro» è naturalmente Fëdor Michailovic Dostoevskij (affidato a Miki Manojlovic per gli anni della maturità e a Giordano De Plano per quelli della detenzione in Siberia, entrambi doppiati egregiamente da Sergio Di Stefano): le sue idee, che l'hanno fatto passare dall'adesione giovanile a un socialismo utopistico fino all'accettazione di un umanesimo intriso di religiosità e di messianesimo slavofilo, hanno influito fortemente sulla gioventù russa del secondo Ottocento, infiammata da Bakunin e dal mito socialista e decisa ad abbattere anche col sangue delle bombe l'assolutismo del potere zarista. E proprio questa influenza offre al regista (e ai suoi sceneggiatori Paolo Serbandini e Monica Zapelli, partiti dall'idea che Andrej Konchalovski aveva proposto a Carlo Ponti) lo spunto da cui inizia il plot. Dostoevskij decide di visitare in manicomio chi gli ha mandato una strana e accorata lettera e così scopre che l'autore - Gusiev (Filippo Timi) - è un rivoluzionario «convertito» dai romanzi e dalle idee dello scrittore e che per non tradire i compagni ma anche per non farsi più coinvolgere nei loro attentati non ha trovato di meglio che fingersi pazzo e farsi internare. La sua speranza, affidata alla lettera per Dostoevskij, è che lo scrittore riesca a far desistere l'amata Aleksandra (Anita Caprioli) dal mettere in pratica l'agguato già preparato contro l'arciduca. Inizia così una specie di percorso contro il tempo che intreccia diversi piani: c'è quello della ricerca di Aleksandra, sulle cui stracce si è mossa anche la polizia e l'insinuante capo della «terza sezione» Pavlovic (Roberto Herlitzka), che mette a confronto Dostoevskij con gli studenti rivoluzionari che difendono con foga le stesse idee lo avevano affascinato in gioventù. Poi c'è il piano della memoria, che fa riandare il protagonista agli anni in cui fu arrestato per aver aderito a un circolo di intellettuali socialisti, poi condannato e messo davanti a un plotone di esecuzione (per un' atroce messinscena punitiva) e infine «graziato» con la condanna ai lavori forzati in Siberia. Dove lo scrittore di origini aristocratiche (anche se decadute) finì per confrontarsi davvero con il popolo e tutte le sue contraddizioni. E infine c'è il piano «metaforico» (anche se storicamente realissimo) della scrittura del Giocatore, dettato in pochi giorni a una stenografa che sarebbe diventata la sua seconda moglie (Carolina Crescentini), e che permette di affrontare un'altra corsa contro il tempo (per soldi si è impegnato a consegnare il testo entro una certa data), di descrivere un altro aspetto controverso della propria vita (la passione per il gioco che lo portò sul lastrico) e soprattutto di rendere sempre più complessa e controversa la figura del «maestro», umanissimo quanto vulnerabilissimo nei suoi vizi e nelle sue debolezze. Montaldo affronta questa materia senza sottolinearne troppo il possibile lato ideologico e soprattutto senza arrivare a stabilire un vincitore certo tra le idee «revisioniste» dello scrittore e quelle «rivoluzionarie» dei giovani (la Storia, invece, ci dirà che gli attentati anarchico-socialisti continuarono: nel 1881, cioè una ventina d'anni dopo i fatti raccontati nel film, il gruppo Narodnaja Volja assassinò lo zar Alessandro II), ma non sceglie nemmeno di scavare più a fondo nella psicologia di Dostoevskij e negli abissi di quell'anima umana che i suoi romanzi avrebbero saputo scandagliare in maniera così magistrale. Sceglie piuttosto una narrazione più tradizionale, «antica» verrebbe quasi da dire, che si ricollega direttamente allo stile delle sue regie anni Settanta e Ottanta e che sarebbe ingeneroso definire tout court «televisiva» (basterebbe il ricercato lavoro sull'illuminazione e la fotografia di Arnaldo Catinari per capire quanto poco il film sia debitore dell'estetica senza profondità in stile fiction), ma che non cancella l'impressione di un cinema fin troppo «pedagogico», fin troppo «equilibrato», più attento alle suggestioni del romanzesco che a quelle del visivo. Una regia che sceglie di non confrontarsi con le scommesse estetiche del cinema contemporaneo e che rivendica con orgoglio il diritto a uno stile «classico», un po' intemporale, signorilmente pittorico. Ma che rischia di stemperare troppo la tensione che pure il tema vuole affrontare.
"Corriere della sera" del 25 aprile 2008

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